GIANNI DE TORA

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1999 Galleria Avida Dollars, Milano 1-19 marzo

“L'OCCHIO STRABICO”

 
ARTICOLO DI ELA CAROLI SUL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO DEL 11.3.1999

GLI EQUILIBRI IMPROBABILI DELLE OPERE DI DE TORA

“ L'occhio strabico” di De Tora a Milano. Questo è il curioso titolo della mostra dell'artista napoletano nella galleria «Avida Dollars» (che poi prende il nome dall'ironico anagramma che coniò per se stesso il grande Salvador Dalì) in via orti, 14, nel capoluogo lombardo, aperta fino al 19 marzo. Gianni De Tora, artista napoletano, analizza, in un improbabile equilibrio, i rapporti tra segno, geometria e pittura, unendo al rigore formale calibrato e quasi architettonico delle sue opere - strutture di legno e acciaio, con smalti e acrilici colorati - quell'elemento di asimmetria che rende più indeterminato lo spazio occupato dall'installazione, spiazzando l'occhio del visitatore fin quasi a renderlo “strabico”. Nel pieghevole che accompagna la mostra, ci sono testi di Gillo Dorfles e Pierre Restany. Negli anni Sessanta, De Tora, nato a Caserta nel '41 ma formatosi all'Accademia di Napoli, fu tra i fondatori del gruppo «Geometria e ricerca» con Barisani e Di Ruggiero, poi nel decennio successivo fece varie esperienze a Parigi e Londra; dal '78 all'81 ha studiato le relazioni tra opera e ambiente, «ammorbidendo» la rigorosa impostazione geometrica del suo lavoro. L'artista ha al suo attivo mostre in tutto il mondo, dalla Biennale di San Paolo del Brasile a quella di Valparaiso (Cile) e poi in Francia, Finlandia, Germania, Canada.

 
ARTICOLO DI TIZIANA DE TORA SU CRONACHE DI NAPOLI DEL 7.3.1999

Lo “strabismo” della geometria- in mostra a Milano i dipinti e i disegni di Gianni De Tora


La Galleria Avida Dollars ospita la mostra personale di Gianni De Tora, intitolata "L'occhio strabico". L'artista napoletano presenta, infatti, una serie di opere legate da un unico fil rouge : una visione strabica della geometria. In costante dialettica con le esperienze artistiche internazionali, in particolare con l'astrazione americana, De Tora in questi lavori tende a destabilizzare i principali simboli della nostra cultura, a partire dalla "Croce strabica", che é l'esempio di una "inedita 'apertura' verso l'indeterminatezza e l 'asimmetria ", come afferma acutamente Gillo Dorfles nella testimonianza critica presente in catalogo. La materia iconologica della croce attraversa tutta la storia dell'uomo, a partire dall'era cristiana. Lo stesso artista afferma ''E' il simbolo cardine delle varie civiltà, ed io l'ho voluto mettere in discussione, invitando esplicitamente il fruitore a liberarsi della visione idealistica ereditaria, per prendere in considerazione i vari simboli che costituiscono l'ambiente e guardarli creativamente". In queste opere, infatti, De Tora analizza le figure geometriche primarie - cerchio, quadrato e triangolo - da sempre affrontate e studiate da punti di vista continuamente differenti, sin dagli anni Settanta, quando fu tra i fondatori del celebre gruppo “Geometria e Ricerca” - insieme a Barisani, Tatafiore, Testa, Trapani, Di Ruggiero e Riccini - in seno al quale operò un'analisi delle strutture riflesse, spingendosi sempre al di là della costruzione dell'immagine stessa ed evocando esperienze minimali. Questa nuova visione della geometria spinge oggi l'artista verso una dimensione addirittura metafisica, con la predominanza costante del colore nero, utilizzato non come assenza, ma anzi contenitore di tutti i colori dell'iride. Il nero, infatti, assume qualità sempre nuove in tutto il lavoro di De Tora: dal matto, al lucido, al riflettente, diventando "un colore interiore" (Kandijnskij), "il colore di chi cerca di approfondire, piuttosto che elargire le proprie idee" (Nadia Julien). Ecco, l'artista, in queste ultime creazioni, sente la chiara esigenza di entrare nel mistero dell' ignoto, per scoprire nuove dimensioni della materia cosmica: il nero, infatti, dialoga con il blu oltremare, colore primario - utilizzato sempre insieme al rosso e al giallo - che ora, invece, assume il ruolo solitario di protagonista, come veicolo di esplorazione del mistero dell'universo. "Non posso fare a meno del colore" ha, infatti, dichiarato De Tora, sottolineando le origini mediterranee sempre presenti nella sua ricerca pittorica, esplicitate dall'inserimento di simboli segnici attinti alle civiltà antiche che, decontestualizzati e reinventati, assumono ora un valore mentale, concettuale della sua memoria visiva. La sua ricerca non si ferma, però, all'uso del colore, ma invade anche la struttura stessa dell'opera, che diventa una pitto-scultura, con l'aggiunta di materiali quali le lamiere d'acciaio, elemento riflettente ed illuminante, in contrasto con il nero, nonché il ferro ed il legno, utilizzati non più come telaio, ma come presenze a sé stanti. Questo recupero della pittura attraverso la terza dimensione non é discorso nuovo per l'artista napoletano, che già negli anni Ottanta studiava le relazioni tra opera e ambiente, realizzando sequenze basate sul concetto della reiterazione e della regolarità "assoluta" tra verticale e orizzontale. Tema messo ancor più in discussione in questi ultimi anni di ricerca, nei quali De Tora ha iniziato a sperimentare nuove possibilità della geometria, affrontando anche esperienze di Mail-art (libri d'artista) e manipolazione di nuovi materiali. Le opere in esposizione esplicitano la volontà di De Tora di allontanarsi dalla rigorosa simmetria della geometria classica, considerando la pittura "come pura coscienza" ...afferma Pierre Restany ed esplorando "una via più pronta - rileva Dorfles - ad adeguarsi all'epoca - così drammatica e poco 'equilibrata' - in cui viviamo" .

 
LETTERA DI GILLO DORFLES DICEMBRE 1998 DAL CATALOGO-PIEGHEVOLE DELLA MOSTRA

Caro De Tora,

conoscevo bene i tuoi lavori - così calibrati, esatti, rigorosamente costruiti - che si apparentavano in parte alle prime realizzazioni "geometrizzanti" del MAC napoletano. Ma non conoscevo ancora il tuo nuovo lavoro dove da un lato, il rigorismo non viene mai meno; ma dall'altro, il colore si intensifica per l'uso di strutture metalliche, di acciaio, di legno, che, in certo senso, conferiscono all'opera quella assolutezza formale che la rende quasi "architettonica" e, a mio avviso, aprono la strada alla possibilità d'una più mutevole e mena rigida concezione dell'elemento spaziale; come, in parte mi era parso d'intravedere già a partire da alcune delle tue "carte" - a base di tempera, acquarello e polvere d'oro- dell '84 così raffinatamente pittoriche. Ma c'è soprattutto un aspetto nuovo che vorrei segnalare e che forse tu stesso non apprezzi sino in fondo: la presenza di una inedita "apertura" verso l'indeterminatezza e l'asimmetria, che si rivela, ad esempio, nella "croce strabica". Ebbene, questo lavoro - pur altrettanto limpido e calibrato delle altre tue recenti creazioni - mi sembra dimostrare una volontà di sottrarti alla inflessibile costrizione della "simmetria" (quella che William Blake definiva la "fearful symmetry": spaventosa simmetria) e del rigorismo geometrico, per affrontare pur nella fedeltà dell'impostazione astratta e non figurativa - una via più pronta ad adeguarsi all'epoca - così drammatica e poco "equilibrata" - in cui viviamo.

 
foto di repertorio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
RISORSE AGGIUNTIVE
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